La Bhagavad-Gita – Lo Yoga della Conoscenza

La Bhagavad-Gita

Parte II – LO YOGA DELLA CONOSCENZA – Samkhya-yoga

“Una promessa deve essere mantenuta anche a costo della propria vita” (Ramayana)

La Gita insegna che l’anima è divina, ma è tenuta nella schiavitù della materia; la perfezione sarà raggiunta quando questo legame si scioglierà, con un fenomeno definito con il termine mukti, la libertà dai vincoli dell’imperfezione, la libertà dalla morte e dalla miseria. (Swami Vivekananda)

In questo capitolo, Sri Krishna rivela che l’anima, Atman, è immortale, non può essere distrutta. La morte è un’esperienza che non appartiene all’Atman, ma al corpo, che è soggetto a cambiamento, malattia, vecchiaia e morte e che deve essere abbandonato come un vestito logoro, in modo che l’Atman possa assumere altre forme. La morte è certa per i nati, così come la rinascita è certa per i morti. Pertanto, addolorarsi per la morte è inutile.

Ad Arjuna manca la vera saggezza, benché le sue parole siano ispirate da emozioni profonde. Egli s’identifica erroneamente con i suoi parenti, con i corpi che indossano, pensa che le gioie e i dolori del corpo siano le vere gioie e dolori dell’uomo. Sri Krishna chiarisce che l’anima non è il corpo, né l’ego, che mutano e infine vengono a mancare, mentre l’anima, Atman, permane.

Poiché l’Atman è indistruttibile ed eterno, contrariamente a quanto pensi Arjuna, Bhisma non può essere ucciso. L’Atman non uccide, né può essere ucciso, non è mai nato, né muore mai e non cessa mai di esistere. È nitya, eterno, sasvata, permanente e purana, antico. Quando il corpo muore, l’Atman non cessa di esistere, ma lascia semplicemente il corpo per assumerne uno nuovo. Le armi non possono fenderlo, il fuoco non lo può bruciare, né l’acqua inumidirlo o il vento seccarlo. È impenetrabile, incombustibile, omnipervadente, stabile, immobile, invisibile, impercettibile e immutabile.

La parola “morte”, nell’accezione comune, non è altro che la dipartita dell’Atman da un corpo prima di assumerne un altro. Poco saggio è piangere per la morte di un corpo umano, poiché esso è costituito dai cinque elementi terra, acqua, fuoco, aria ed etere o spazio. Non è che la dimora dell’Atman eterno per consentirgli di sperimentare i frutti del suo karman. Quando questi karman saranno esauriti, il corpo fisico non avrà più motivo di continuare la sua esistenza e verrà abbandonato.

Se vogliamo progredire sulla via della realizzazione, dobbiamo smettere di identificarci con il corpo, ossia dobbiamo abbandonare le “scarpe” che indossiamo. Questo è invero il significato dell’usanza indù di togliere le scarpe prima di entrare in un tempio o in un luogo sacro. Ciò simboleggia il concetto che ci si allontana dalla consapevolezza del corpo per camminare sulla terra consacrata, che ci aiuterà a progredire verso la realizzazione di Dio.

Non possiamo gettare via il corpo completamente, ma possiamo trasformare la nostra prospettiva, soffermandoci sull’idea di non essere il corpo che abbiamo assunto, ma lo spirito immortale al suo interno. Questo cambia totalmente la nostra prospettiva.

 

Articolo redatto da: Segreteria di Swami Amrirananda Davide Russo Diesi | Certified Yoga Teacher RYT-500 Yoga Alliance USA – Yogasthali Yoga Society, INDIA. Tratto dal libro “Luci dalla Bhagavad-gita” di Basant K. Gupta, edizioni Laksmi di Asya Om.

Istruttore Yoga Davide Russo Diesi

Istruttore Yoga Davide Russo Diesi