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IL RITO DEI CINQUE TIBETANI

Il rito dei cinque tibetani è una serie di esercizi  che furono divulgati  da Peter Kelder nel suo opuscolo The Eye of Revelation, stampato per la prima volta nel 1939. Kelder vi racconta di essere venuto a conoscenza dei riti da un colonnello in pensione dell’esercito britannico, il quale avrebbe scoperto un misterioso e remoto monastero nella regione himalayana, i cui monaci erano a conoscenza del segreto della “fonte dell’eterna giovinezza”. Il segreto consisterebbe nella pratica quotidiana di cinque esercizi, detti riti, che vengono descritti nel libro insieme ad alcuni altri brevi insegnamenti circa l’alimentazione e lo stile di vita.

I benefici del rito dei cinque tibetani

Nel racconto di Kelder il soggiorno nel misterioso monastero tibetano aveva letteralmente trasformato il colonnello, un uomo anziano, curvo e quasi calvo in un uomo sano e forte. I cinque riti, infatti, attraverso l’armonizzazione dei sette chakra  sembrano essere un mezzo efficace per raggiungere non solo la salute fisica, ma anche un “ringiovanimento” sia a livello di energia che di aspetto fisico.

Rielaborando alcune posizioni tradizionali dello Yoga, i cinque tibetani lavorano su alcuni organi interni e sui centri energetici primari del nostro corpo: i chakra. Lo scopo di questi esercizi è riattivare infatti i sette chakra, fonte del potere spirituale secondo la tradizione dello Yoga. Per praticare tutti e cinque i cinque tibetani ci vogliono circa venti minuti.

Chi pratica il rito dei cinque tibetani da anni quotidianamente dichiara di avere riscontrato benefici importanti nel corpo, che si ricarica di nuova energia, e nella mente, che si rasserena favorendo la concentrazione. Inoltre, grazie al rito dei cinque tibetani è possibile rinforzare tutto il corpo e migliorarne la flessibilità. I benefici dei cinque tibetani influiscono anche sul sistema endocrino creando una sensazione di benessere diffuso, preparando la mente e il corpo alla giornata che sta per iniziare.

Ogni rito tibetano andrebbe ripetuto ventuno volte, ma questo numero è da considerare un punto d’arrivo e non di partenza, soprattutto se è la prima volta che ci si avvicina a praticare un’attività di questo tipo. Perché ventuno volte? La mente e il corpo hanno bisogno di ripetere un’azione per ventuno giorni per far sì che questa diventi un’abitudine.

Bisogna sapere ascoltare il proprio corpo e non sforzarsi se le posizioni sembrano al di sopra della propria portata: vanno raggiunte lentamente o va limitato il numero di ripetizioni. Infine, è importante continuare a respirare in modo corretto durante gli esercizi.

Il respiro è il flusso di energia che attiva il nostro corpo: imparare ad ascoltarlo ci permette di capire se stiamo rispettando i nostri tempi e di fermarci, se necessario. Nelle posizioni di ascolto del nostro respiro la mente impara a trasformarsi e a mantenere la concentrazione.

A differenza delle altre attività fisiche, nel rito dei cinque tibetani, come del resto nella pratica dello yoga, l’importante non è quello che facciamo, ma l’attenzione e la presenza che poniamo nella pratica. Solo nella pratica costante e consapevole, vuole la tradizione, si nasconde il segreto del successo.

Il primo tibetano – La Ruota

In piedi braccia aperte allineate alle spalle, palme rivolte verso il basso, ruotare su sè stessi in senso orario, in modo che il braccio sinistro ruoti verso destra. Questo rito lavora su tutti i chakra.

Fare attenzione: questo tipo di esercizio rotatorio può provocare la perdita dell’equilibrio o anche una leggera nausea. È quindi consigliabile, almeno per le prime volte, eseguire i movimenti lentamente, non più di 3-4 rotazioni, per poi aumentare a seconda del proprio sentire.

Il secondo tibetano – L’Angolo

Distesi a terra, supini, braccia lungo i fianchi, sollevare contemporaneamente le gambe a 90 gradi rispetto al busto (piedi flessi a martello) e la testa verso il petto. Spalle, schiena e bacino rimangono a contatto con il suolo. Inspirare durante la flessione ed espirare nella fase di distensione. Questo rito lavora sui chakra 1, 2, 3 e 5.

Nel caso risulti difficile alzare abbassare le gambe distese, il rito può essere effettuato partendo dalla posizione iniziale con le ginocchia piegate (in questo modo la colonna vertebrale viene meno sollecitata).

Il terzo tibetano – L’Arco

In ginocchio, mani posizionate sui glutei, piedi in appoggio sulle dita flesse e in contatto con il suolo, testa appoggiata sullo sterno. Inarcare all’indietro testa, spalle e il tratto toracico della schiena. Inspirare quando si inarca ed espirare mentre si ritorna alla posizione di partenza. Durante il rito mantenere rilassate le mascelle. Questo rito lavora sui chakra 3, 4, 5 e 6.

Il quarto tibetano – il Ponte

Seduti, gambe distese e piedi allargati quanto le anche; tronco eretto, mento che tocca lo sterno e palmi appoggiati a terra con le dita in avanti, piegare le ginocchia, sollevare il bacino e rovesciare la testa all’indietro: inspirando si sale ed espirando si torna alla posizione di partenza. Questo rito lavora sui chakra 3, 4 e 5.

Versione alternativa. Distesi, braccia lungo i fianchi e palmi a terra, ginocchia ripiegate con i talloni vicini ai glutei, sollevare il bacino, inspirando. Si ritorna alla posizione di partenza espirando.

Il quinto tibetano – La Montagna

Proni, bacino e arti sfiorano terra, testa eretta, palmi delle mani appoggiate a terra allineati alle spalle e piedi appoggiati sulle dita flesse in linea con le anche, sollevare il bacino, espirando. Inspirare tornando alla posizione di partenza. Questo rito coinvolge tutti i chakra.

 

I 5 tibetani I esercizi

Articolo redatto da: Segreteria di Swami Amrirananda Davide Russo Diesi | Certified Yoga Teacher RYT-500 Yoga Alliance USA – Yogasthali Yoga Society, INDIA.